3. Problemidell'industrializzazione. - La vita monastica a La Trappe e, piú tardi, aLa Valsainte sotto dom Agostino de Lestrange èabbastanza nota come vita di austerità estrema e di p., in ambedue i casi ispirata da motivazioni differenti evissuta in condizioni storiche straordinarie.

 

Il ripristino della vitamonastica dopo la rivoluzione francese si attuava lentamente e in mezzo a difficoltà materiali,talvolta anche politiche, molto gravi. Lefondazioni erano in maggioranza case nuove, in altri casi si potevautilizzare quanto rimaneva di un'anticaabbazia. Ma in entrambe le situazionisi trattava sempre di guadagnarsi di che vivere e di sistemare gli edifici conmezzi molto poveri. Le costruzionidi quel tempo erano estremamente povere e spesso anche brutte; si doveva lavorareduramente e a lungo nei campi, spesso ascapito di qualsiasi attività intellettuale. Poiché, in molti casi, ilrendimento non era sufficiente, sicercarono altri mezzi di sussistenza: industrieo questue. Queste ultime erano vietate inquanto contrarie allo spirito dell'Ordine, mentre per le industrie mancavatroppo spesso l'abilità o sipreparavano delusioni piuttosto dolorose. D'altra parte, i capitoli generali non erano favorevoli a queste iniziative. Soprattutto la maggiorparte dei monasteri femminili viveva spesso in una p. estrema. In questoperiodo è difficile individuare dove la p. si ispiri all'ideale e dove invecesia dovuta alla necessità. Pare si possa affermare senza alcuna esagerazioneche i Trappi­sti delsec. XIX e dell'inizio del XX abbiano condot­to una vita realmente povera,austera e sem­plice.

Se tradizionalmente imonaci (quindi, anche Cistercensi e Trappisti) hannovissuto della col­tura deicampi, in epoca moderna è diventato sem­pre piúdifficile, in molte nazioni, per una comu­nità viveredell'agricoltura. Di conseguenza, un buon numero di monasteri oha abbandonato l'agricoltura a favore di industria (cioccolato, ecc.), o haaggiunto un'industria alla fattoria. Si può direche i monasteri che vivano esclusivamen­ diagricoltura siano oggi una piccola minoranza.

Di fatto, l'agricoltura èdivenuta anch'essa un'in­dustria, che richiedegrandi investimenti di capi­tali e la cui gestione èpiú pesante che non la maggior parte delle piccole o medie imprese svi­luppate dalle comunità monastiche dei nostri tem­pi. Oggi, unacomunitàdi monaci o di monache che vogliavivere del lavoro delle proprie mani (il che è generalmente il caso deiCistercensi, sen­za tuttavia mai escluderedel tutto il lavoro arti­stico o intellettuale) può scegliere non tra fattoria e industria, ma tra diverse forme di lavoro indu­striale, tra cui quello agricolo.

Questa trasformazione si èinstaurata gradual­mente nelle comunità monastiche,quasi in maniera surrettizia, senza che, in linea generale, siriflet­tesse sulle conseguenze di talemutamento. Un nu­mero di problemi(tra cui non ultimo quello della difficoltào impossibilità di pagare la manodopera stipendiata) richiedono nuovi studi e senza dubbio anche nuovesoluzioni.

San Benedetto voleva che imonasteri possedes­sero entro le loro mura tutti ilaboratori neces­sari al lavoro, al fine dievitare che i monaci uscis­sero all'esterno, « il chenon giova alle loro anime ». Ora, data la complessitàdell'economia moderna, l'amministrazione di una fattoria o di un'altra in­dustria obbliga parecchi monaci acontatti costan­ di ordine materiale con l'esterno.

Ciò che gli uomini d'oggichiamano « p. » è so­prattutto l'insicurezza e lo stato di dipendenza dicolui che non possiede proprie risorse divita, ma deve mettersi a disposizionedi altri. Per i monaci, il fatto dipossedere in proprio le risorse di vita li situa in un grado elevatodella scala sociale, ed essi non possonodirsi « poveri » se non dando un significatodiverso al comune linguaggio. Ciò di­viene un problema sociale particolarmenteacuto nei monasteri che possiedonograndi fattorie in paesi del Terzomondo, dove l'accaparramento del suoloda parte dei grandi latifondisti è la prin­cipale fonte di p. delle masse. Chelo vogliano o i monaci sono allorafacilmente assimilati al potere oppressore.

Di fronte a questi problemi,colti per intuizione da alcuni individui o piccoli gruppima raramente studiati in profondità, nuovesoluzioni sono state tentate in questi ultimi anni:lavoro a domicilio (cioè in monastero) per conto di industria della zona o ancora timidi tentativi di lavoro sti­pendiato in una officina o in una fattoria vicina.

L'attuale crisi economica, che ha colpito dura­mente l'economia di molte comunità monastiche nel corso degli ultimi anni e in modo particolare lepiccole imprese e le fattorie, obbligherà senza dubbio i monaci a unacreatività piú audace nel futuro. Bisogneràandar avanti con prudenza; madopo tutto, difficilmente si potranno immaginare vie nuove che modifichino la struttura monastica cosí profondamente come l'ha fatto l'industrializ­zazione in questi ultimi decenni.

Sr. M. Pia, Pour une meilleureorganisation du travail monastique, Supplément 17 (1964) 89-100; M. Driot, Le moinedans la civilisation de la technique et du travail, CollCist(1968) 160-83; Id., La pratiquedu travail technique dans les monastères, 31 (1969) 36-48; A. Veilleux, Le rôle de lasous-culture monastique dans la formation du moine, NouvRevThéol100 (1978) 734-49.

A VEILLEUX